ARTE E DEMENZA

Dipinto di Vincenzo Corti


Ogni volta che osservo un dipinto mi piace goderne la Bellezza fine a sé stessa, soffermarmi sui colori, le forme, l’armonia dell’insieme e i dettagli che catturano e trattengono lo sguardo.
Allo stesso tempo, però, l’opera diventa per me uno strumento per vedere il mondo con altri occhi, se non addirittura per vedere altri mondi, a volte anche improbabili ma comunque possibili, proprio grazie all’Arte.
L’Arte sposta i confini ed i limiti di ciò che vediamo con i nostri occhi.
Da sempre l’Arte è presente nella mia vita, essendo cresciuta in una famiglia con persone dotate di creatività, capaci nella pittura, nella poesia e nella musica.
Ahimè, io ne sono decisamente priva e non mi intendo né di quadri né di altre forme artistiche; ciò non toglie che abbia imparato a godere di ciò che un’opera sa offrire.
Credo sia proprio grazie a questa mia storia personale che, quando ho iniziato a lavorare con le persone con demenza, mi è stato subito naturale interrogarmi su come esse “vedano” la realtà, visto che non possono più af-fidarsi alla loro mente, a ciò che colgono i loro occhi, soprattutto quando la realtà appare diversa da ciò che vedono gli altri.
Questo sguardo e questo “allenamento” mi ha permesso di dare spesso nuovi significati a comportamenti, gesti e parole delle persone con demenza che possono sembrare incomprensibili ma che un senso l’hanno sempre.
Non possiamo chiedere ad una persona con demenza di comportarsi diversamente da come fa spontaneamente: essa interpreta la realtà con gli strumenti cognitivi che ha a disposizione, come può, meglio che può.
Sta a chi le è accanto interrogarsi, provare ad indossare occhiali che svelano una realtà diversa, per dare nuovi significati a comportamenti “strani” ma che sono guidati da altre logiche oltre la razionalità, come ad esempio l’emotività.
Non è semplice, molte volte è impossibile sapere cosa passa nella mente di una persona con demenza in un determinato momento. Ciò spesso non è consentito nemmeno a chi la conosce intimamente.
Inoltre, è anche un “esercizio” che fa paura: immedesimarsi nel disorientamento che provano, nella perdita di controllo che sperimentano quotidianamente, negli attimi di consapevolezza che emergono, significa affacciarsi ad un mondo di grande dolore nel quale nessuno vuole vivere, nemmeno per poco tempo.
Eppure vedere il mondo attraverso i loro occhi ci offre un modo nuovo di stare loro accanto: significa mettere da parte le nostre certezze (il mondo come lo conosciamo) per incontrarci in mondi possibili dove molto è ancora possibile.
Significa vedere la persona, la sua unicità, ciò che ancora può offrirci, trovare nuovi modi per comunicare e, alla fine di tutto, per prenderci cura l’Uno dell’Altro.